
Contro i bot, i bambini e me stesso
Una confessione nevrotica e ruvida sul perché gioco (male) a scacchi.
Mi chiamo GianLo-69. Ho più di trent'anni di pensieri e meno di seicento punti Elo. Gioco a scacchi online, spesso contro avversari con la bandiera del Pakistan, lo stemma di un animale domestico e un nome che sembra uscito da un modem impazzito.
E perdo. Perdo in tutti i modi possibili. Mi capita di vincere, certo, ma più spesso è come cercare di battere un ascensore in caduta libera saltando su e giù.
Quando vinco, non è mai elegante. È un misto tra un parcheggio in retromarcia riuscito per miracolo e un furto con scasso in una tabaccheria.
In una delle mie ultime partite, ho fatto una mossa geniale (!!) secondo l'algoritmo. Geniale, davvero. Due mosse prima avevo lasciato un pezzo in presa con la grazia di un equilibrista ubriaco, ma tanté. La genialità, nel mio caso, è un colpo d'ala dentro una spirale di autolesionismo.
Il punto è che mi sento sempre in compagnia. Gioco contro me stesso, quello che credeva che 2.c3 fosse una trappola letale. Contro Lester Bangs, che mi urlerebbe di sacrificarla la Donna, per Dio! E contro Woody Allen, che vorrebbe solo rovesciare la scacchiera e andarsene a casa con l'alfiere nero sotto il braccio.
Scrivere questo blog è come analizzare le mie sedute da scacchista da divano. Un po' terapia, un po' sadismo. Mi interessa raccontare le partite più che mostrarle, il panico del minuto e trenta più che il matto in tre.
E se ti riconosci, se anche tu hai chiuso una partita con la sensazione di dover chiamare tuo padre per chiedergli scusa, allora benvenuto. Sei nel posto giusto.
Questo è un blog sugli scacchi.
Ma anche su di noi, che non li sappiamo giocare. Eppure, continuiamo.
Se anche tu ti sei mai sentito sconfitto da un bot, umiliato da un novellino o tradito da una Regina troppo in là sulla scacchiera, dimmelo. Magari mi sento meno solo.