
Scacchi e cinema: mosse sulla pellicola
Una pellicola che scorre, un cavallo che avanza, una regina che attende il suo momento: l’immagine che apre questo articolo unisce due mondi apparentemente distanti, il cinema e gli scacchi, che da oltre un secolo dialogano tra loro. Non è un caso: entrambi raccontano storie fatte di tensione, colpi di scena, vittorie e sconfitte.
Sul grande schermo, la scacchiera diventa campo di battaglia e al tempo stesso specchio interiore. Che si tratti della partita con la Morte ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, della sfida uomo-macchina in 2001: Odissea nello spazio, o dei drammi biografici in Pawn Sacrifice e Searching for Bobby Fischer, i 64 quadrati assumono un significato che va ben oltre il gioco.
E non solo al cinema: le serie TV, da The Queen’s Gambit a Sherlock, hanno mostrato quanto gli scacchi siano potenti anche per la narrazione seriale. Ogni pezzo, ogni mossa, ogni sacrificio è un simbolo che parla di potere, strategia, sacrificio e destino.
Classici del cinema
Il settimo sigillo (Ingmar Bergman, 1957)
Una delle immagini più iconiche della storia del cinema: il cavaliere Antonius Block (Max von Sydow) che sfida la Morte a scacchi sulla spiaggia. Bergman girò questa scena ispirandosi a una leggenda medievale, ma con un’intenzione moderna: usare la scacchiera come metafora della condizione umana, sospesa fra fede e dubbio, fra vita e annientamento.
La partita non è tanto una competizione sportiva, quanto un dialogo filosofico. Ogni mossa diventa una domanda sul senso dell’esistenza. La forza del film sta nel trasformare gli scacchi, gioco di logica e strategia, in un duello spirituale e poetico.
2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968)
Nel celebre capolavoro di Kubrick, gli scacchi appaiono in una scena che a prima vista sembra marginale: l’astronauta Frank Poole gioca contro il supercomputer HAL 9000. La macchina non solo vince la partita, ma dimostra di “capire” e sfruttare un errore umano, anticipando la fine della partita con una sicurezza disarmante.
La scelta di Kubrick non è casuale: la posizione sulla scacchiera è tratta da una partita reale giocata ad Amburgo nel 1910 tra Roesch e Schlage. HAL riproduce fedelmente le mosse vincenti di Schlage, mostrando non soltanto capacità di calcolo, ma anche la spietata freddezza di chi non conosce pietà.
Gli scacchi, qui, non sono un semplice passatempo dell’equipaggio, ma diventano un presagio: se HAL può sconfiggere l’uomo con la calma razionale del gioco, potrà anche ribellarsi e imporsi come entità superiore. In altre parole, Kubrick utilizza una partita di scacchi per raccontare in pochi secondi il cuore del film: la tensione fra uomo e macchina, ragione e fallibilità.
Searching for Bobby Fischer (Steven Zaillian, 1993)
Ispirato alla vita del giovane prodigio Josh Waitzkin, il film racconta la scoperta del talento e la tensione fra gioco puro e agonismo estremo. Gli scacchi qui sono sia scuola di vita sia conflitto familiare: il piccolo Josh deve scegliere se imitare l’aggressività di Bobby Fischer o restare fedele al suo stile creativo e umano.
Il film alterna tornei scolastici, parchi di New York e partite lampo con i maestri di strada, mostrando il volto popolare e quello istituzionale del gioco. È una riflessione sull’educazione, sull’ambizione e sul peso dei modelli. La scacchiera diventa specchio dell’infanzia e delle pressioni degli adulti.
Pawn Sacrifice (Edward Zwick, 2014)
Tobey Maguire interpreta Bobby Fischer nel celebre match del 1972 contro Boris Spasskij (Liev Schreiber). Gli scacchi sono qui messi in scena con un realismo quasi maniacale, ricostruendo posizioni reali e tensioni psicologiche.
Ma oltre al dramma individuale di Fischer, ossessionato e paranoico, il film mostra la scacchiera come campo geopolitico della Guerra Fredda. Ogni mossa è una mossa fra Stati Uniti e URSS, ogni sacrificio ha un peso che va oltre il tabellone. La finale di Reykjavík diventa così un duello simbolico fra due mondi, con Fischer nei panni dell’eroe tragico destinato alla rovina.
Queen of Katwe (Mira Nair, 2016)
Ispirato a una storia vera, racconta la vita di Phiona Mutesi, ragazza cresciuta in uno slum di Kampala (Uganda) che, grazie agli scacchi, scopre nuove possibilità per sé e per la sua famiglia.
Il film mostra la scacchiera non come campo di battaglia esistenziale o politico, ma come strumento di emancipazione e speranza. Ogni mossa diventa un passo verso il futuro, ogni vittoria un atto di resistenza contro la povertà e la marginalità.
Con un cast guidato da Lupita Nyong’o e David Oyelowo, Queen of Katwe è una celebrazione del potere trasformativo del gioco, capace di cambiare vite lontano dai riflettori delle grandi arene internazionali.
Scacchi nelle serie TV
The Queen’s Gambit (2020, Netflix)
Il fenomeno culturale che ha riportato gli scacchi nell’immaginario collettivo. La miniserie segue la vita di Beth Harmon (Anya Taylor-Joy), orfana prodigio che negli anni ’60 scala i tornei internazionali. Oltre alla ricostruzione accurata delle partite (curate da Garry Kasparov e Bruce Pandolfini), la serie mostra la scacchiera come specchio dell’identità: ogni apertura, ogni sacrificio riflette la crescita interiore di Beth.
L’impatto è stato enorme: vendite di scacchiere alle stelle, iscrizioni record a club e piattaforme online, un’intera generazione che ha scoperto il significato del titolo: il “gambetto di donna”.
Sherlock (BBC, 2010–2017)
Con Benedict Cumberbatch nei panni del detective, gli scacchi compaiono più volte come metafora delle battaglie mentali tra Sherlock e i suoi avversari. Moriarty, in particolare, viene spesso associato a un giocatore che muove i pezzi con freddezza strategica.
In un episodio, la scacchiera diventa palcoscenico di una sfida di logica estrema, dove ogni pezzo rappresenta vite umane. È la trasposizione perfetta del metodo deduttivo di Sherlock: ragionare sempre tre mosse avanti.
The Wire (HBO, 2002–2008)
Nella prima stagione, il personaggio D’Angelo Barksdale spiega le regole degli scacchi a due giovani spacciatori. Ma non parla di cavalli o regine: per lui i pezzi sono la gerarchia criminale di Baltimora. I pedoni sono la “truppa sacrificabile”, la regina è il capo sul campo, e il re è l’intoccabile boss che “non può mai muoversi”.
La scena è diventata cult perché mostra come gli scacchi possano tradurre le dinamiche del potere e della strada. Una metafora brutale e immediata, che resta impressa anche a chi non ha mai visto una scacchiera.
Mr. Robot (USA Network, 2015–2019)
Gli scacchi diventano la rappresentazione visiva del conflitto interiore di Elliot (Rami Malek). In una scena cruciale, il protagonista deve sfidare il suo alter ego in una partita: se perde, accetta di cedere il controllo della propria mente.
La tensione della sfida è più psicologica che scacchistica: la scacchiera è il ring della sua psiche, dove si decide chi comanda. Una scelta registica potente, che usa il gioco per dare forma concreta alla schizofrenia del personaggio.
Star Trek: The Next Generation (1987–1994)
Oltre al celebre poker, l’equipaggio dell’Enterprise si diletta a scacchi (spesso in versione tridimensionale, lo “Star Trek chess”). Le partite, più che realistiche, servono a sottolineare la natura strategica delle missioni.
In diversi episodi, gli scacchi diventano allegoria dei rapporti di forza tra civiltà interstellari: un modo semplice e visivo per tradurre guerre galattiche in termini comprensibili allo spettatore.
Simbolismo e metafora
Gli scacchi non sono mai un semplice gioco sullo schermo: ogni pezzo e ogni mossa diventano simboli, metafore che parlano della condizione umana.
Vita e morte
Nel Settimo sigillo la scacchiera è il confine tra l’esistenza e il nulla. Antonius Block non gioca per vincere, ma per guadagnare tempo, per rimandare l’inevitabile. La Morte, seduta dall’altra parte, diventa un avversario con cui dialogare, un riflesso delle nostre paure.
Altri film hanno ripreso questo tema: in Harry Potter e la pietra filosofale, la partita a scacchi gigante con pezzi che si distruggono è una versione fantasy dello stesso concetto: i pezzi diventano guerrieri pronti a morire per i giocatori.
Guerra e strategia
Gli scacchi sono spesso metafora di conflitto militare. In Pawn Sacrifice, ogni mossa di Fischer e Spasskij è letta come un gesto politico, un piccolo scontro nella Guerra Fredda.
Analogamente, in Star Trek, il “tri-dimensional chess” non è un semplice passatempo, ma il riflesso delle strategie interstellari, dove ogni pianeta o flotta può essere ridotto a un pezzo sulla scacchiera.
Riscatto e speranza
Queen of Katwe mostra gli scacchi come strumento di emancipazione sociale. Phiona Mutesi, bambina cresciuta in uno slum di Kampala, impara a muovere i pezzi e, con essi, a immaginare un futuro diverso. La scacchiera diventa il luogo in cui un pedone qualunque può trasformarsi in regina: un simbolo potente di crescita, dignità e speranza.
A differenza di altri film che rappresentano gli scacchi come duello intellettuale o conflitto politico, qui il gioco è una porta verso possibilità nuove, lontane dalla povertà e dall’emarginazione.
Conflitto interiore
In Mr. Robot, gli scacchi sono la rappresentazione concreta della lotta psicologica del protagonista con se stesso. Giocare contro il proprio alter ego diventa la traduzione visiva di una battaglia interiore che altrimenti resterebbe invisibile.
Anche in The Queen’s Gambit, le partite immaginate sul soffitto della camera da letto non sono solo esercizi di memoria: sono proiezioni della mente di Beth, un modo per visualizzare la sua intelligenza ma anche le sue ossessioni.
Destino e sacrificio
Ogni partita a scacchi è fatta di sacrifici. Per questo il cinema ama usare il gesto di “lasciar andare” un pezzo come immagine del destino. In Searching for Bobby Fischer, il giovane Josh impara che sacrificare non significa perdere, ma aprire nuove possibilità.
Il pedone che avanza fino a diventare regina è invece la metafora del riscatto: da figura umile e sacrificabile a protagonista assoluta. È la stessa logica che attraversa The Queen’s Gambit: l’ascesa di una bambina orfana fino al trono del mondo degli scacchi.
Gli scacchi e il cinema condividono la stessa natura: entrambi raccontano storie di conflitti, sacrifici e rivelazioni. I registi hanno imparato a usarne il linguaggio universale: una regina che cade, un pedone che si ribella, un re assediato parlano a chiunque, anche a chi non ha mai giocato una partita.
Dal bianco e nero esistenziale del Settimo sigillo ai colori pop di The Queen’s Gambit, la scacchiera ha continuato a rispecchiare la vita, la morte, il potere e il desiderio. Ogni pezzo che si muove sullo schermo non è soltanto parte di un gioco: è una mossa nella narrazione dell’essere umano.
E forse è proprio per questo che gli scacchi, con la loro apparente immobilità, continuano a sedurre il cinema e le serie TV: perché su quei sessantaquattro quadrati vediamo riflessi i nostri stessi drammi, speranze e possibilità di riscatto.